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Così le stelle si mantengono giovani

Una ricerca italiana, guidata dall'astrofisoco dell'Alma Mater Francesco Ferraro, svela su Nature l'enigma delle stelle "bambine": tra collisione e cannibalismo ecco come come le condizioni 'ambientali' possano alterare il destino degli astri
Galassia

Sono due e distinti i processi con cui una coppia di stelle anziane può dar vita ad una stella più "giovane": collisione e cannibalismo. Nel primo caso le due stelle si fondono scontrandosi l’una con l’altra. Nel secondo una delle due, molto vicina, "risucchia" progressivamente materia dall’altra, fino a "divorarla" completamente. Il risultato è comunque una stella di energia e dimensioni maggiori, che assume così sembianze più "giovani" delle stelle originarie. La scoperta, di cui riferisce il prossimo numero della prestigiosa rivista scientifica Nature, svela finalmente un annoso mistero: quello delle vagabonde blu, le anomale stelle "bambine" che punteggiano le regioni più antiche della nostra galassia, dove gli astri hanno da tempo smesso di formarsi, e dove pullulano ormai, o dovrebbero pullulare, solo vecchie stelle.

Perché vagabonde blu? Perché rappresentate come puntini su un grafico di luminosità e calore, sono stelle sembrano andare per i fatti loro rispetto al grosso delle colleghe più anziane, che invece seguono traiettorie ben definite. Blu, poi, perché risultano più calde delle altre, e la loro luce appare quindi più blu. "E’ come vedere dei bambini in una foto di gruppo di un ospizio per anziani. Viene spontaneo chiedersi cosa ci facciano lì", spiega Francesco Ferraro, l’astrofisico dell’Università di Bologna, che ha guidato la ricerca. "Come gli uomini - continua Ferraro - anche le stelle nascono, crescono e muoiono. Invecchiando consumano il proprio serbatoio energetico diventando progressivamente più fredde. Solo ad alcune, fortunate, può capitare di sperimentare una 'seconda giovinezza' e tornare bambine, attraverso uno specifico trattamento di ringiovanimento".

In realtà, che le vagabonde blu derivassero da urti o passaggi di materia tra stelle era già stato ipotizzato, ma mancavano ancora riscontri osservativi a dimostrazione che entrambi i fenomeni entrano in gioco e nessuno dei due è sufficiente da solo a spiegare la formazione di tutte le stesse bambine. E ciò è esattamente quanto è riuscito al team internazionale guidato dagli astronomi italiani. La prova è infatti giunta da una serie di immagini ad alta risoluzione catturate dal Telescopio spaziale Hubble nel cuore di Messier 30 (M30), un affollatissimo sistema stellare di forma sferica, situato nella periferia della galassia - a 28mila anni luce dalla Terra - , e formato da circa 600mila stelle, tutte nate attorno a 13 miliardi di anni fa.

"Nel gremitissimo nucleo centrale dell’ammasso, 20mila volte più denso della nostra regione di spazio, si sono osservate, per la prima volta in uno stesso raggruppamento, due distinte popolazioni di vagabonde blu, con caratteristiche di luminosità e temperature nettamente diverse. Un gruppo di 24 mediamente più calde e meno luminose, e un gruppo di 21 più fredde e brillanti", spiega Giacomo Beccari dell’Agenzia spaziale europea. "Queste differenze sembrano giustificare origini diverse degli astri: le vagabonde più calde sarebbero effettivamente nate da collisioni, quelle più fredde sembrano originate da trasferimenti di materia ancora in corso, mentre nessuno dei due gruppi è compatibile con il processo da cui sarebbe scaturito l’altro", aggiunge Emanuele Dalessandro, altro ricercatore dell'Alma Mater. Le tracce di questa distinzione tenderanno a sparire nel tempo, ed è forse per questo che le famiglie di vagabonde blu finora studiate - probabilmente ad uno stadio evolutivo più avanzato - non presentavano caratteristiche così chiaramente distinguibili.

I calcoli hanno inoltre permesso di azzardare una datazione del periodo in cui queste stelle sono tornate bambine. "E’ successo tutto un paio di miliardi di anni fa, quando l’ammasso M30 ha subito uno degli eventi più catastrofici della sua vita: quello che viene definito collasso del nucleo. All’epoca infatti la densità di stelle nella regione centrale è cresciuta rapidamente raggiungendo valori elevatissimi, probabilmente anche più degli attuali", ricostruisce Barbara Lanzoni, altra protagonista della ricerca, anche lei ricercatrice presso l'Alma Mater. La distanza media tra le stelle è drammaticamente diminuita e gli astri hanno cominciato a 'disturbarsi' a vicenda. In un ambiente così affollato le collisioni e le interazioni ravvicinate con scambio di materia sono aumentate esponenzialmente favorendo cosi la formazione delle due famiglie di stelle bambine svelate dalle nostre osservazioni".

"In un contesto più generale, la nostra scoperta getta nuova luce su come le condizioni 'ambientali' possano alterare il destino di astri che altrimenti sarebbero destinati a consumare la loro esistenza in totale isolamento", dice ancora Lanzoni. "Quando infatti le circostanze li costringono ad incontri ravvicinati gli uni con gli altri, sembrano capaci di dar luogo a interazioni feconde, generando oggetti stellari del tutto inaspettati. L’esame di questi oggetti può aprire la strada a nuovi studi sulla sociologia delle stelle".

"Il successo di questa ricerca - commenta Ferraro - è il risultato di un lavoro di squadra e di una stretta sinergia tra l’Università di Bologna e altri centri di ricerca, in particolare l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). Il nostro è un gruppo che ha scommesso su giovani sotto i 40 anni: un team affiatato e motivato, cresciuto presso il Dipartimento di Astronomia dell'Alma Mater. D’altra parte questa è la seconda scoperta di rilievo del nostro gruppo in meno di un mese". Sempre Nature, a fine novembre, aveva infatti riportato la scoperta del primo fossile cosmico nel cuore della Via Lattea. "Mi pare - continua Ferraro - un segnale della vitalità e del livello di eccellenza della ricerca astrofisica in Italia. Con questo lavoro stiamo contribuendo a costruire a Bologna un centro di formazione d’eccellenza nel settore dell'astrofisica stellare, un centro che mira a diventare un punto di riferimento per i giovani ricercatori non solo a livello italiano, ma anche europeo e mondiale".