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Scoperti in Italia i resti del più antico coccodrillo del mondo

E’ vissuto circa 165 milioni di anni fa lungo l’allora costa nord-africana. Il teschio fossile ci è giunto intrappolato in un blocco di pietra, del tipo di cui sono pavimentati i portici di Bologna. E’ qui che l’hanno trovato due scienziati poco più che trentenni. Dentro un museo
Museo Capellini

"I coccodrilli sono rettili, come i dinosauri, ma sono più antichi", dice Federico Fanti, dell’Università di Bologna, protagonista della scoperta insieme ad Andrea Cau. E’ infatti dai progenitori dei coccodrilli che, tra i 280-250 milioni di anni fa, hanno cominciato a differenziarsi gli antenati dei dinosauri. Nel corso della loro evoluzione, inoltre, il loro aspetto è cambiato relativamente poco. Segno di successo evolutivo: si sono rivelati da subito talmente adatti al loro ambiente, da non aver avuto bisogno di grandi "aggiustamenti".

Anche il nostro teschio è molto simile a quello di un odierno coccodrillo: muso allungato, dentatura possente. Solo un esperto noterebbe a colpo d’occhio gli zigomi insolitamente sporgenti. Connotato evolutivo successivamente persosi nei discendenti. Forse per renderne il profilo più idrodinamico e agile nella caccia subacquea, spiegano i due ricercatori, che al fossile dedicano uno studio in via di pubblicazione sulla rivista scientifica Gondwana Research.

La storia del ritrovamento è piuttosto travagliata. Nel 1955 la testa del nostro coccodrillo finisce dentro un blocco di roccia, destinato ai lavori di costruzione di un cavalcavia ed estratto da una qualche cava nei pressi di Sant’Ambrogio Veronese, ad est del Lago di Garda. Si tratta di rosso ammonitico veronese, un calcare molto comune nell’edilizia. Il marmista di Portomaggiore (Ferrara) che se lo ritrova in mano, inizia ad affettarlo, ricavandone lastre larghe due metri circa e spesse alcuni centimetri. Si accorge che quattro di queste contengono resti fossili diversi dalle solite ammoniti che alla pietra danno il nome. Coscienziosamente decide di rivolgersi a degli esperti. Contatta sia quelli di Ferrara, sia quelli di Bologna. Troppo coscienzioso: ne scaturirà una contesa, che finirà a carte bollate con tanto di sequestro delle lastre "incriminate" per ordine del giudice. Dopo qualche tempo la salomonica soluzione. Due lastre vanno al Museo di storia naturale di Ferrara. Le altre due al Museo geologico Capellini dell’Università di Bologna. Qui vengono esposte a partire dagli anni ’60. La targhetta in basso recita "Metriorhynchus", vale a dire pressappoco "antico coccodrillo marino ormai estinto", e anche la datazione è molto approssimativa. E’ qui che lo notano i due giovani studiosi.

"Un giorno di due anni fa ero con Andrea davanti alle due lastre - è ancora Fanti che racconta - e ci siamo detti: 'ma perché non cerchiamo di capire qualcosa di più di questa bestia?'" Di cosa si trattava con esattezza? In quale periodo era vissuta? I due si mettono al lavoro. Fanti, che è un geologo prestato alla paleontologia, comincia ad analizzare composizione chimica e datazione della pietra. Andrea, che invece è un esperto di anatomia, si dedica allo studio delle ossa fossili.

E’ così che si accorgono che il "coccodrillo di Portomaggiore", come veniva informalmente indicato, è molto più vecchio di quanto inizialmente ritenuto: circa 10 milioni di anni in più. Questo ne fa il più antico mai scoperto sull’intero pianeta, e il primo trovato non solo in Italia, ma lungo la costa nord dell’antico e smisurato continente australe del Gondwana che univa in un unico blocco Africa, America del Sud, Antartide, Australia e India. Lo scheletro inoltre si distingue chiaramente dagli altri finora recuperati per i due zigomi pronunciati. Le caratteristiche del Neptunidraco ammoniticus - come il coccodrillo è stato ribattezzato dai due studiosi alla luce dei nuovi elementi - suggerisce, sostiene lo studio, che i coccodrilli marini siano ancora più antichi di quanto finora ipotizzato e ben più diversificati di quanto fin qui emerso dai loro resti.

La speranza, quindi, è che ne saltino fuori altri; dal sottosuolo, dalle cave, dai cantieri e, chissà, magari anche da qualche museo, accantonati, in paziente attesa di essere riscoperti dai ricercatori che nasceranno.