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Mucca pazza: cause, effetti e risvolti commerciali di una malattia

Scienzagiovane, il sito di divulgazione scientifica dell’Università di Bologna, inaugura la sezione di medicina veterinaria ripercorrendo la storia del morbo della mucca pazza, una delle principali emergenze sanitarie degli ultimi anni.
Ricercatore

Non c’è virus, non c’è batterio, ma c’è comunque il problema. Anzi, nel caso del morbo della mucca pazza, il problema è proprio questo: non è stato individuato nessun agente alla base della modificazione proteica che scatena i fenomeni degenerativi irreversibili di cui tutte le televisioni hanno mostrato gli stadi finali nei bovini. L’eziologia – lo studio delle cause – è tuttora ferma alle ipotesi: quasi scartata la tesi di un contagio virale, l’idea più diffusa è che, in soggetti geneticamente predisposti, l’introduzione di materiale proteico proveniente da altre specie provochi per contatto la trasformazione  del prione PrP dalla forma sana (a elica) a quella patologica (piatta).

Il fenomeno "mucca pazza", etichetta che descrive il morbo scientificamente conosciuto come "Encefalopatia Spongiforme Bovina" (BSE), è l’oggetto del nuovo articolo pubblicato da Scienzagiovane il sito di divulgazione scientifica dell’Università di Bologna. Supportate dal dizionario con la spiegazione dei termini più tecnici, le otto pagine web che compongono l’articolo descrivono la malattia, la sua storia, le ipotesi sulle sue cause, gli effetti sull’uomo e lo contromisure adottate a livello sanitario. Largo spazio hanno le considerazioni scientifiche, corroborate da filmati in Real Player, ma c’è spazio anche per Dante, uno dei primi ad attribuire l’epiteto di "pazze" ad alcune pecore ammalate.

Sul finire degli anni Novanta, la mucca pazza creò una situazione di emergenza continentale. "Dipese dalle previsioni", spiega il prof. Roberto Rosmini, presidente dell’Associazione Italiana Veterinari Igienisti (AIVI) e autore dell’articolo. "Si sapeva, dallo studio di altre patologie prioniche come il Kuru, diffuso tra i cannibali della Nuova Guinea, che queste malattie avevano un’incubazione molto lunga. Si pensò dunque che dal 1986 (anno in cui la BSE fu rilevata per la prima volta) al 1995 (anno in cui fu rinvenuta per la prima volta la malattia nell’uomo), molte persone avessero contratto la variante umana del morbo (morbo di Creutzfeldt-Jacob) e che a breve si sarebbe potuto verificare un aumento significativo nell’incidenza dei casi".

La temuta crescita logaritmica delle vittime però non c’è stata e, anche se alcuni hanno rinverdito la minaccia prospettando tempi di incubazione ancora più lunghi di quelli previsti al momento della crisi, l’attenzione si è spostata ora sull’influenza aviaria. Scienziati di fama internazionale, come il fisico Antonio Zichichi, hanno addirittura auspicato la chiusura delle frontiere commerciali per scongiurare il pericolo di un’epidemia che, secondo alcune stime, potrebbe uccidere 150.000 persone. A più di un anno dai primi moniti, però, neanche questa seconda minaccia ha preso forma. "Simili proclami hanno spesso anche una ragione commerciale – spiega il prof. Rosmini – L’influenza aviaria, per esempio, è un ottimo espediente per arginare le importazioni dalla Cina: i prezzi dei loro polli vincono la nostra concorrenza, ma se si paventa un pericolo sanitario se ne disincentiva l’acquisto". "E all’epoca – aggiunge Rosmini, docente alla Facoltà di Veterinaria dell’Università di Bologna - anche la minaccia della BSE ebbe dei risvolti commerciali: la Gran Bretagna sfruttò la situazione per rinnovare i suoi allevamenti a spese della Comunità Europea".

L’economia è comunque un tema a margine dell’articolo su la mucca pazza che inaugura una nuova sezione di Scienzagiovane dedicata alla medicina veterinaria. Una sezione che nasce sottolineando l’impatto della veterinaria sulla sanità pubblica. "C’è una sinergia tra medicina veterinaria e medicina umana", conferma Rosmini. "I medici lavorano per mettere a punto terapie che sconfiggano le patologie dell’uomo, mentre i veterinari agiscono prima facendo profilassi affinché le malattie di mammiferi, pesci e altri animali non si trasmettano al consumatore".

I due ambiti, del resto, sono ormai legati anche sul fronte della ricerca. "Gli studi sulla BSE – conclude infatti il docente – sono alla base di una revisione delle conoscenze sulle malattie degenerative. Con nuove tecniche diagnostiche alcuni casi identificati tra le forme di Alzheimer, per esempio, sono ora ricondotti al morbo di Creutzfeldt-Jacob".

Ma, mentre la ricerca prosegue, che fare di fronte a una fiorentina? A queste e ad altre domande molto frequenti, si può trovare risposta nella pagina che conclude l’articolo online su scienzagiovane:
http://www.scienzagiovane.unibo.it/muccapazza.html