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La Ghenizà Italiana: risorge la cultura perduta

Migliaia di frammenti di manoscritti ebraici medievali, riciclati come legature e andati persi da ormai 500 anni, riaffiorano negli archivi e nelle biblioteche italiane grazie al lavoro di ricerca ventennale del Prof. Mauro Perani dell’Università di Bologna.
Manoscritto “Ghenizà”, in ebraico, significa “ripostiglio” in cui si ripongono i testi sacri logorati dall'uso per evitarne la profanazione. Il caso più noto è quello della Ghenizà scoperta al Cairo alla fine del XIX secolo, nella quale furono rinvenuti più di duecentomila frammenti di testi andati persi da centinaia di anni.
Da quel momento i ricercatori di tutto il mondo hanno coltivato il sogno di un analogo rinvenimento in Europa, un’utopia che negli ultimi vent’anni è divenuta realtà grazie al ritrovamento di migliaia di frammenti di manoscritti ebraici negli archivi italiani.

Si tratta di pergamene risalenti al periodo medievale che a causa delle repressioni dell’Inquisizione furono sequestrate ed in parte riutilizzate come copertine e legature per registri e libri di vario genere. Per di più la nascita della stampa a caratteri mobili rese “fuori moda” e superati i testi manoscritti, di cui volentieri ci si sbarazzava sottovalutando il valore del contenuto dell’opera stessa.
Una perdita culturale insopportabile che da più di vent’anni muove le ricerche del “Progetto frammenti ebraici in Italia”, promosso nel 1981 dal Professor Giuseppe Baruch Sermoneta e oggi portato avanti da Mauro Perani, docente di Ebraico all’Università di Bologna.

Il progetto si articola in tre fasi: la prima consiste nella vera e propria attività di ricerca all’interno delle biblioteche e degli archivi italiani; una volta rinvenuto un documento, il secondo passo consiste nella fotoriproduzione o microfilmatura di tutti i frammenti che lo compongono, per poi accedere alla terza e ultima fase, che consiste nell’identificazione, datazione e catalogazione dei frammenti, ricomponendo quelli che appartengono ad uno stesso manoscritto. Nei casi più fortunati l’opera ricomposta viene addirittura pubblicata, dopo oltre cinquecento anni dalla sua scomparsa.

Vista l’entità potenzialmente infinita della ricerca è stato necessario porre dei limiti storici e geografici all’indagine: la delimitazione cronologica è facilmente giustificabile, visto che la pratica del reimpiego dei manoscritti trovò diffusione quasi esclusivamente nei centocinquant’anni tra la seconda metà del Cinquecento e la prima del Seicento; geograficamente invece si analizzano prettamente gli archivi delle regioni centro-settentrionali in quanto furono quelle che ospitarono la maggior parte degli ebrei in fuga dai bandi e dalle persecuzioni inflitte loro in altri Paesi europei.

I risultati della ricerca vanno oltre ogni ottimistica previsione. Ad oggi sono stati trovati solo nella Penisola oltre ottomila frammenti (per frammento si intende per lo più un foglio intero), particolarmente interessanti per il loro carattere eterogeneo, che danno vita a quella che può essere chiamata, per analogia a quella del Cairo, una “Ghenizà italiana”.