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Cancro al seno: scoperte cellule dottor Jekyll e mister Hyde

Una proteina tradizionalmente associata al cancro della mammella fa impazzire le cellule sane. La scoperta di un gruppo di giovani ricercatori dell’Università di Bologna getta nuova luce sui primi passi dello sviluppo tumorale e apre la strada a nuovi approcci nella prevenzione e nella cura della malattia
Ricercatori al lavoro

Era da tempo in cima alla lista dei principali indiziati di un delitto di cui ogni anno sono vittima oltre 36mila donne italiane, ma malgrado la sua puntuale presenza sulla scena del crimine, finora nessuno era mai riuscito ad incastrarla. Il suo nome è interleuchina 6, una proteina il cui eccesso è tradizionalmente associato ad un tumore, quello al seno, che uccide nel nostro paese circa 11mila donne l’anno.

A trovare finalmente la pistola fumante che la inchioda alle sue responsabilità un gruppo di giovani ricercatori (non a caso investigators, in inglese) dell’Università di Bologna che, secondo la rivista scientifica Journal of Clinical Investigation - una delle più prestigiose nel campo della medicina sperimentale - ha dimostrato che la proteina non solo rende più aggressive le cellule tumorali, ma induce anche un effetto "dottor Jekyll e mister Hyde" su quelle sane, che in sua presenza iniziano a dare segni di pazzia tipici del cancro.

Lo studio è ancora più interessante perché si intreccia con una delle nuove frontiere della ricerca medica oncologica, quella delle cosiddette cellule staminali tumorali: le vere leader dello sviluppo del cancro al seno. Sono proprio queste, infatti, ad essersi mostrate sensibili all’interleuchina 6.

"Le staminali sane, esposte all’interleuchina, iniziano ad assumere atteggiamenti tipici di quelle maligne - spiega Massimiliano Bonafé, 38 anni, a capo del team di ricercatori del Centro di ricerca biomedica applicata (Crba) dell’Università di Bologna -. Cominciano a migrare, a spostarsi cioè facendosi largo tra le altre cellule, sopravvivono in apnea, anche in ambienti poveri d’ossigeno, e tendono a crescere, contrariamente alle altre, anche in sospensione, prive di una base d’appoggio. Tutti segnali preoccupanti. Abbiamo inoltre osservato che, così come le staminali del cancro, iniziano a produrre loro stesse altra interleuchina. E questo sembra rispondere ad un altro grattacapo, cui la scienza finora non aveva trovato soluzione: da dove proviene l’interleuchina in eccesso nelle pazienti con cancro al seno?"

Si sapeva già da tempo che questa proteina avesse una stretta relazione col tumore della mammella. Non solo infatti si riscontra in abbondanza nelle pazienti, ma a concentrazioni più elevate corrispondono tumori più aggressivi e potenzialmente letali. Nessuno però finora era riuscito a spiegare come interagisse col tumore, e nemmeno cosa ne originasse l’eccesso. Conoscerla meglio, spiegano gli studiosi, è importante anche perché si tratta di una proteina che ci accompagna per tutta la vita, centrale in molti processi dell’organismo, normalmente con funzioni benefiche.

"Aver trovato una prova del suo ruolo sull’innesco del tumore al seno – spiega ancora Bonafé – apre la strada a nuove strategie preventive e terapeutiche. Da un lato, anche in assenza di una diagnosi di tumore, l’aumento d’interleuchina potrebbe fungere da campanello d’allarme e suggerire una serie di accorgimenti preventivi al fine di scongiurare l’eventuale insorgenza del cancro. In secondo luogo, si potrebbero studiare e perfezionare farmaci o anticorpi in grado di neutralizzarne l’effetto. Nel Regno Unito ci sono già pazienti trattati in questo modo".

La scoperta è frutto di un lungo e appassionato lavoro. Tra i ricercatori che più hanno contribuito alla sperimentazione Gianluca Storci, 34 anni di Bologna e Pasquale Sansone, 26, di Bari, impegnato nel secondo anno del dottorato in Farmacologia e tossicologia dell’Ateneo bolognese. "Mi sono chiuso in laboratorio per mesi – racconta Pasquale -, soprattutto il sabato e la domenica, quando avevo meno interruzioni, da mattina a sera. Non è stato semplice. Si trattava di maneggiare cellule ancora poco conosciute. Non esistevano indicazioni precise su come usarle nelle sperimentazioni di laboratorio. Abbiamo dovuto ingegnarci, capire da soli come procedere".

Lo studio dell’Università di Bologna si è concentrato sulle cellule staminali della ghiandola mammaria e del cancro al seno. Secondo una promettente ma recente teoria, ancora dibattuta in ambito scientifico, solo una piccola quantità di cellule della massa tumorale sarebbero responsabili dello sviluppo, della proliferazione e delle metastasi del cancro. Colpire quindi queste cellule maligne, dette staminali o progenitrici, e non tutte indiscriminatamente come nelle terapie tradizionali, sarebbe il segreto per sconfiggere il cancro al seno, un male che oggi nel nostro paese colpisce una donna di sessant’anni ogni 25.

Si stima che in Italia siano circa 300mila le donne malate di tumore al seno. Ogni anno ne vengono colpite oltre 36mila. Il 30% di tutte le donne che si ammalano di tumore. 11mila sono quelle che muoiono ogni anno. Il rischio di contrarre la malattia aumenta di cento volte con l’età. A trent’anni la probabilità è di uno su 2500, a quaranta 1/200, a sessanta 1/25. La tendenza è quella di una crescita della diffusione ma di una diminuzione della mortalità.

Nella regione sono oltre 25mila le donne colpite: 3600 i nuovi casi e più di 900 quelle che non ce la fanno ogni anno. Il 62% dei tumori della mammella è compreso nella fascia d’età 50-69 anni. Il tasso di sopravvivenza a cinque anni è dell’87%, tra i migliori in Europa.

Lo studio è stato guidato dai ricercatori del Centro di ricerca biomedica applicata (Crba). Inaugurato nel 2001 a seguito di un forte supporto della Fondazione Carisbo, del Policlinico S.Orsola-Malpighi e dell’Università di Bologna, si tratta di un centro di ricerca biomedica multidisciplinare, diretto dal prof. Pasquale Chieco, dove giovani ricercatori possono fare ricerca in modo libero e creativo nei rispettivi settori. Il primo autore dell’articolo, Pasquale Sansone, è iscritto al corso di dottorato in Farmacologia e tossicologia, diretto dal prof. Giorgio Cantelli Forti, e attivo da oltre un decennio presso il Dipartimento di Farmacologia.