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Il discorso del Rettore alla cerimonia per i nuovi professori emeriti

Il testo integrale dell'intervento del rettore dell'Alma Mater Ivano Dionigi in Aula Magna prima della consegna dei nuovi diplomi di professore emerito

Un cordiale benvenuto a tutti i presenti e un particolare e affettuoso saluto ai nuovi Professori Emeriti, ai loro cari, ai loro allievi e a tutta la comunità universitaria qui convenuta. Un giorno particolare di riconoscimento per chi “ha combattuto la buona battaglia”, per chi ha compiutamente svolto il proprio munus.

Vi chiedo anzitutto scusa per aver ritardato almeno di un anno questo conferimento a causa delle deliberazioni, a volte travagliate, da parte delle nostre strutture, sottoposte a una radicale e impegnativa revisione; e a causa anche dei tempi dell’approvazione ministeriale.

Mi perdonerete se ogni tanto, in questo saluto iniziale, affiora in me il latinista. La parola e-meriti, secondo l’etimo latino, evoca in primo luogo la militanza, e grazie a quel prefisso perfettivizzante (il fonema e-) ne indica tutta la compiutezza e positività: non solo, quindi, aver marciato, ma averlo fatto bene e sino in fondo, fino all’ultimo.

Ebbene sì: voi siete - al pari di chi vi parla - della categoria dei fortunati, perché titolari di entrambi quei privilegi che solo l’Università conosce: coniugare il binomio passione/professione ed essere maestri, fare scuola, avere allievi. Due opportunità che fanno di voi dei professori interi e delle persone compiute. Due opportunità oggi ad alto rischio di estinzione, perché la maggior parte dei nostri/dei vostri giovani, pur titolatissimi (non meno di noi), non possono né declinare quel binomio, e devono accontentarsi della sola passione, né tanto meno possono diventare, a loro volta, maestri: un tempo iniquo, e scelte politiche miopi, possano condannarli a rimanere solo allievi. Si rischia di interrompere così la lampadoforìa, la trasmissione della fiaccola di mano in mano: un passaggio che è l’emblema della nostra missione di Professori: ovvero di chi professa la conoscenza.

Allora benvenuta e benedetta questa occasione per una riflessione sulla nostra Università: su quell’Alma Mater che oggi vi proclama suoi Professori Emeriti.

Vorrei partire, con voi, da una comparazione su tre piani: quello della doxa e dell’aletheia, dell’opinione vulgata e dei dati veri, che ci sollecita a vigilare sui molti stereotipi di cui è facile essere vittime, senza avvedersi né del panorama nazione né della complessa comunità di cui siamo parte; quello del passato e del presente, che vi coinvolge come Maestri di fronte ai vostri allievi; quello del positivo e del negativo, delle buone e delle cattive notizie, che ci coinvolge tutti.

Vero o falso?
Questo Paese lo capisco sempre meno. La sua forza è la cultura; la sua unica vera grande ricchezza è il capitale umano dei nostri laureati, dei nostri dottori di ricerca, che - non meno di 400 - ogni anno proclamiamo in tocco e toga. Ebbene, vi pare/ci pare possibile che un calciatore o un allenatore - l’ho già detto qui di fronte al nostro Ministro il 20 giugno scorso - valga dieci, cento, mille volte di più di un nostro ricercatore (senza dire che spesso si tratta di giocatori e allenatori che hanno anche mancato gli obiettivi)?

Paese davvero incomprensibile che ha deciso di creare la virtù per decreto e di affidarsi in tutto e per tutto a leggi e circolari, e soprattutto a vincoli e a burocrazia: il tutto perché non ha fiducia nel cittadino.

C’è un livello ministeriale soffocante: vincoli di spesa nell’FFO, bilancio unico, contabilità economico-patrimoniale, tutela del MEF su ogni iniziativa finanziaria, revisori che non ci danno tregua, norme sulla trasparenza che dissuadono ogni persona responsabile dal dare una mano all’Università, requisiti Anvur rigidi e astratti per accreditamento di Corsi di ogni ordine e grado, senza dire della quotidiana resa di fronte ai TAR (penso solo alla riammissione a Medicina di centinaia di ricorrenti, che ci creano problemi immani). Qualche colpo, talvolta, si riesce anche a pararlo, ma che fatica, cari miei! A questo proposito non voglio passare sotto silenzio che proprio un anno fa, in quasi totale solitudine, il Rettore di Bologna è riuscito a fare allentare i requisiti minimi (rapporto studenti/docenti) salvando oltre 70 Corsi del nostro Ateneo.

Ma è tutta colpa del Ministero e dei Ministeri? L’Ateneo non ci mette del suo a complicare, appesantire, irrigidire? Mi rendo conto che nel riordino complessivo – davvero impegnativo per numero ed entità di casi e problemi – alcune responsabilità non sono ben definite, la macchina è faticosa e alcuni regolamenti non aiutano, rallentano le procedure e duplicano i processi. Per questo conosco bene, e non mi sorprendono, la critica e il grido di insofferenza in proposito.

C’è stata una fase in cui a fronte del nuovo Statuto, delle riaggregazioni dipartimentali, del riordino dei Campus romagnoli, della dialettica Dipartimenti/Scuole, dell’allestimento dei nuovi concorsi, a fronte di questa inedita complessità, ho ritenuto opportuno spingere sull’acceleratore dell’accentramento e della regolamentazione. Altrimenti avremmo corso il serio rischio di non decollare, di non approdare. Senza dimenticare che tutto ciò ci ha consentito di mettere in sicurezza 209 Corsi di laurea (invertendo il rapporto numerico a favore delle Magistrali) e di portare felicemente in porto centinaia di concorsi attesi e meritati (mentre le altre Università sono ancora alle prese con sporadici bandi). E tutto ciò senza dimenticare che l’Alma Mater è l’Università italiana più complessa e articolata (per la sua conformazione di multicampus). Ora – dopo una sperimentazione e verifica triennale – ritengo che siamo nelle condizioni favorevoli e agevoli per correggere e migliorare il compito svolto: chi vi parla aveva l’onere della pagina bianca.

Fare di più e fare meglio si può e si deve, distinguendo i fini dai mezzi, la necessità delle regole dall’arbitrarietà delle discrezioni, il nomos che giova a tutti dal chaos che giova a pochi.

Passato/presente
Da diversi anni non abbiamo più il turnover garantito: la successione sulla cattedra del maestro è ormai poco più che un modo di dire, una sopravvivenza senza oggetto.

Dopo i concorsi del 2008, ci è stato dato di ripartire solamente nel 2012 in regime di spending review con un ricambio consentito del 20% di sistema (per noi, virtuosi, del 32%). Grazie a una ricca dote di punti organico del Piano straordinario degli Associati e al recupero parziale di cessazioni nel quadriennio precedente abbiamo messo in circolo 140 punti organico affidandoli alla totale responsabilità e autonomia dei Dipartimenti. Riguardo ai finanziamenti veniamo da cinque anni di tagli tremontiani: solo l’anno scorso 18,5 milioni (di cui 4,5 sottratti addirittura alla strameritata quota premiale e devoluti a fondo assistenziale per gli Atenei coi conti in rosso). Quest’anno, dopo un lustro e per la prima volta, il sistema universitario segna un incremento dello 0,9 per cento; tra un mese sapremo se il FFO corrisponderà alle lodi di cui il Miur ci ricopre in ogni occasione e che francamente cominciano a insospettire.

Altri due punti hanno cambiato la fisionomia dell’Alma Mater, e qualcuno di voi ne è stato attore e protagonista: il nuovo Statuto di Ateneo (a seguito della legge 240 del 2010) e le riaggregazioni delle strutture. Siamo passati da 23 Facoltà a 11 Scuole, da 72 a 33 Dipartimenti, con il conseguente e necessario ridisegno delle sedi decentrate della Romagna (Ravenna, Forli, Cesena, Rimini), che, avendone noi riconosciuto qualità e specificità - e quindi salvaguardato numero di Corsi e di docenti -, ha portato a una nuova fisionomia organizzativa e amministrativa certo suscettibile di ulteriori attenzioni e miglioramenti.

Colleghi, maestri: ricordate sempre che i vostri allievi, oggi, devono svolgere molte più mansioni di quelle che avete svolto voi, di quelle che abbiamo svolto noi. A voi, a noi è bastato essere – e non è poco! – ottimi docenti, ottimi ricercatori. A loro è richiesto ancora di più: trovare risorse; maneggiare le norme e renderne conto a mille “revisori” non sempre lungimiranti; inventarsi sistemazioni per i loro allievi migliori; e rispondere al discredito di cui una certa cattiva stampa e una certa cattiva politica ricoprono l’Università e i suoi valori. Rispondere come? Con una cultura del merito sempre più salda, con una convinzione sempre più forte. Forse oggi si attaglia al professore universitario la professione di fede che si attribuisce a Tertulliano: credo quia absurdum. Crediamoci, perché è “assurdo”, è “paradossale”: cioè in controtendenza a ogni chiacchiera e a ogni senso comune.

Positivo/negativo
Tra i punti positivi c’è l’impulso internazionale per cui il Miur ci riconosce, per progetti e scambi, leader tra le Università italiane (non posso non ricordare anche i 53 Corsi internazionali di cui 32 in lingua inglese); per la ricerca mi limito a ricordare l’entità dei finanziamenti del 7° Programma Quadro (per cui siamo secondi solo al Cnr), l’affermazione in sede nazionale di Valutazione della Qualità della Ricerca, e la nuova elaborazione di criteri valutativi affidata – dopo la grande stagione dell’Osservatorio della Ricerca – a una nuova e qualificata Commissione per la Valutazione della Ricerca che sta intensamente lavorando e che va sostenuta in vista di obiettivi che possano, ancora una volta, fare di noi un riferimento nazionale.

Sul reclutamento, conforta comunicarvi che l’anno 2014 registrerà ben 406 assunzioni tra promozioni e chiamate dall’esterno e dall’estero (grazie anche al 10% di punti organico espressamente affidati dal CdA al Rettore per questa finalità): non abbastanza, tuttavia queste ultime sono fondamentali per cambiare il sangue all’Ateneo e per renderlo più internazionale. Ripeto 406 assunzioni: un numero che ha scatenato ammirazione e invidia, perché da solo supera la somma di decine d’Atenei.

Centrale e di segno controverso la magna quaestio studentesca. Siamo noi stessi sorpresi - e gli altri più di noi - di questo costante e progressivo aumento dei neoiscritti, di fronte al quale scontiamo un deficit storico. Anzitutto della politica nazionale che non ha mai preso sul serio il diritto allo studio. Per quanto ci riguarda: in cinque anni non un euro di aumento delle tasse, ma l’esonero per i migliori maturi, premi per i più bravi nel segno del merito, aiuto ai casi bisognosi, investimenti in nuove sale studio, residenze e punti di ristoro. Ma su questo punto abbiamo davvero ancora tanto, tantissimo da fare per le esigenze primarie degli studenti – vitto e alloggio – e per il loro diritto di cittadinanza.

Di qui - e ricordo solo una delle diverse cose che il prossimo anno dovremo insieme decidere e fare - l’operazione Staveco, che all’interno dei suoi 42.000 metri quadrati, ne prevede ben 26.000 per didattica e servizi agli studenti: in prospettiva, una soluzione strutturale, nella consapevolezza che sul terreno del diritto allo studio si giocherà gran parte del futuro dell’Università.

Come ci giudicano da fuori? Il Censis ci colloca per il quarto anno consecutivo al primo posto, il Ranking QS (che contempla tutti gli indicatori) ci vede, tra migliaia di Università e istituzioni formative, al 182esimo posto: unica italiana tra le prime duecento. Gratificati? Sì, se non pensiamo che prima di noi ve ne sono 181 e che la competizione va fatta non regionalmente o nazionalmente ma con l’Europa e col mondo. E noi competiamo: ma competiamo con un decimo delle risorse altrui e con dieci volte tanto gli studenti altrui! Colleghi: il 182° posto, finché vogliamo e sappiamo essere Università pubblica, Università insieme di grandi numeri e di grande bravura, secondo la nostra meravigliosa Costituzione, non è un premio di consolazione; è un premio grande, di cui essere orgogliosi anche a fronte di chi ci precede.

Tra i primati, ve n’è un altro, diffuso da UNInews 24 in questi giorni: il Rettore di Bologna sulle 90 Università italiane è quello che ha l’indennità annuale più bassa (16.200 euro lordi). E sarà bene ricordare che da ormai tre anni si lavora di più e a stipendi bloccati; penso soprattutto ai tecnici-amministrativi che, nonostante gli stipendi non degni, si prodigano per l’Istituzione.

Fare di più e fare meglio si può e si deve: senza dimenticare mai la nostra priorità, vale a dire gli studenti, e non lasciando per strada nessun docente, di qualunque fascia, e nessuna disciplina, sia essa scientifica, tecnologica, medica, umanistica o sociale. L’Alma Mater non è né la Normale né un Politecnico: è uno Studium generale, dove tutti hanno pari dignità scientifica e culturale. Qui siamo tutti chiamati alla massima responsabilità e generosità, e - aggiungerei - a metterci anche la faccia.

Responsabilità e generosità fanno quella cultura, quell’unicità, quell’anima dell’Alma Mater alla quale voi, Emeriti, avete contribuito. E per questo, a nome di tutta la comunità universitaria (colleghi, tecnici amministrativi e studenti) vi dico “grazie”.