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Nutriamo la ricerca, con il tuo aiuto: intervista a Paolo Trevisi

5 PER MILLE UNIBO / Migliorare la sostenibilità ambientale, economica e sociale delle produzioni zootecniche: è l’obiettivo del gruppo di lavoro del professor Trevisi, impegnato da più di quindici anni nello studio e nell’analisi della filiera zootecnica

Come convivono benessere, nutrizione e genetica nell’ambito della zootecnia?
In zootecnia, il temine benessere sintetizza una serie di condizioni che concorrono ad ottimizzare la produzione. Se da un lato è importante ridurre le fonti di stress ambientale, permettendo agli animali di esprimere i propri comportamenti naturali, dall’altro è altresì fondamentale salvaguardarne il benessere alimentare, che nella pratica si traduce nel soddisfare i fabbisogni nutritivi degli animali in ogni fase biologica/produttiva della loro vita. Il concetto di benessere deve poi integrarsi con le caratteristiche genetiche, basti pensare come all’interno della stessa specie vi siano razze e linee con capacità produttive molto diverse, e questo implica la necessità di definire i fabbisogni ambientali ed alimentari di ogni razza al fine di ottimizzarne il sistema di allevamento e la dieta.

Come vengono utilizzati gli antibiotici nell’allevamento suino. Che ripercussione ha tale uso e come è possibile limitarlo?
Questo tema sta impegnando i mezzi di informazione nazionali ed europei. Da anni l’Europa ha iniziato un percorso normativo volto a ridurre la possibilità di impiego di antibiotici in zootecnia. A livello italiano, i veterinari del servizio pubblico svolgono un puntuale controllo sull’impiego di farmaci negli allevamenti. Oggi gli allevatori ed i veterinari hanno una maggiore consapevolezza rispetto ai rischi di un impiego massivo di antibiotici ed al fatto che devono essere prescritti e somministrati all’animale solo previa diagnosi clinica e di laboratorio. È comunque indubbio che molto resta ancora da fare per ridurne sensibilmente l’impiego. Vorrei cercare di libere il campo da un falso mito che purtroppo viene proposto sempre più spesso e cioè che mangiando carne si mangiano antibiotici. Per quanto riguarda il suino, il periodo in cui vengono impiegati maggiormente gli antibiotici è ascrivibile ai primi due mesi di vita, quando il giovane animale è più soggetto ad ammalarsi, mentre nell’animale adulto, l’uso è sporadico ed i tempi di sospensione sono rispettati. Pertanto, è altamente improbabile riscontrare residui di queste sostanze nella carne dei suini macellati. Data la dinamica di somministrazione, il problema è perciò di ordine ambientale, nel senso che in taluni casi l’impiego di queste sostanze può portare alla selezione di batteri così detti resistenti, che disperdendosi nell’ambiente costituiscono un potenziale rischio per la salute pubblica. Nella buona pratica zootecnica, l’antibiotico deve essere visto come uno strumento di precisione a disposizione dell’allevatore, di cui si deve preservare l’efficacia nel caso in cui se ne renda assolutamente necessario l’impiego. Oggi si è compreso che il metodo migliore per ridurre l’impiego di antibiotici è quello di garantire un buono stato di salute degli animali, riducendo lo stress fisico ed alimentare degli animali e mantenendo un elevato standard sanitario dell’allevamento. Vi è poi la possibilità di impiegare sostanze naturali e/o batteri probiotici in grado di favorire l’insediarsi di una flora intestinale “buona” che forma una barriera all’ingresso di batteri patogeni aumentando così la resistenza degli animali alle malattie.

Che vantaggi può avere nel vostro caso un ricerca multidisciplinare che quindi veda collaborare nutrizionisti, genetisti, immunologi e bioinformatici?
Troppo spesso la zootecnia è considerata una scienza matura, cioè di cui si conoscono tutti i segreti e pertanto, per produrre, basta seguire una sorta di manuale che permette di ottenere prodotti di qualità. Nella realtà dei fatti non è così, i processi biologici che regolano la crescita e la salute degli animali non sono noti. Basti pensare che ancora oggi non si conoscono i fabbisogni alimentari dei nostri animali, spesso si seguono tabelle obsolete ottenute molti anni fa e riferibili ad animali che nulla o quasi hanno a che vedere, in termini genetici e produttivi, con quelli allevati oggi. Negli ultimi anni, si è evidenziata la necessità di un approccio multidisciplinare per coprire il gap di conoscenza tra genetica, nutrizione e salute nel più breve tempo possibile. Per troppo tempo queste discipline hanno lavorato in modo disorganico. Oggi ciò non è più accettabile in un ottica di ottimizzazione dell’impiego delle risorse destinate alla ricerca zootecnica. Le nuove tecnologie permettono di raccogliere e produrre una enorme quantità di dati. La collaborazione con i colleghi bioinformatici è essenziale per analizzare tale mole di dati con i giusti strumenti in grado di estrarre le informazioni necessarie per progredire rapidamente nella comprensione dei processi biologici.

Qual è il ruolo che la ricerca nel suo ambito può avere in campo economico e sociale?
L’obbiettivo di ridurre l’impiego di antibiotici nell’allevamento suino ha una valenza economica, sociale ed ambientatele notevole. Economicamente il settore delle produzioni zootecniche italiano ha un valore in termini di PIL significativo. Per mantenere la competitività del made in Italy è necessario migliorare le tecniche produttive, adattandole alle esigenze dei nostri allevatori. Troppo spesso importiamo soluzioni sviluppate da università straniere che sono disegnate per sistemi produttivi che nulla hanno a che vedere con le nostre tipicità. Il mantenimento della competitività del settore ha altresì un impatto sociale, perché ogni allevamento e la filiera ad esso associato generano posti di lavoro. È altresì indubbio che un altro aspetto con ricadute in ambito sociale riguarda il contributo dato alla riduzione del problema dell’antibiotico resistenza. Infine, l’aspetto ambientale è di notevole interesse, seppure più complesso da percepire. Aumentare la resistenza degli animali alle malattie e conoscerne i fabbisogni alimentari, consente di migliorarne l’efficienza produttiva, che nella pratica si traduce nel minore impiego di alimenti per produrre la stessa quantità di carne e quindi maggiore sostenibilità delle filiere zootecniche.

Come i cittadini possono contribuire?
Innanzitutto informandosi. In queste poche righe ho cercato di fornire spunti utili su temi da approfondire. Oggi il consumatore è da considerarsi a tutti gli effetti uno degli attori coinvolti nelle filiere produttive. La spinta verso una zootecnia sostenibile è derivata anche dalle esigenze espresse dalla società. Ogni cambiamento necessita però dell’acquisizione di nuove conoscenze da trasferire nella pratica. Per questo è importante sostenere la ricerca e sostenere i giovani ricercatori che impegnandosi nello studio della zootecnia contribuiscono al mantenimento della competitività del made in Italy.