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Inaugurato l’anno accademico 2014-2015 dell'Università di Bologna

Si è tenuta sabato 10 gennaio 2015 nell’Aula Magna di Santa Lucia, a Bologna la cerimonia di apertura del 927esimo anno accademico dell'Alma Mater. Ospite il Presidente del Consiglio Matteo Renzi

Sabato 10 gennaio, nell'Aula Magna di Santa Lucia, a Bologna, si è svolta la cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico 2014-2015 dell'Università di Bologna. Si è aperto quindi ufficialmente il 927esimo anno accademico per l'Alma Mater a partire dalla sua nascita, nel 1088.


Ospite d'onore della cerimonia è stato il Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi. Il suo discorso ha seguito quello del Rettore dell'Alma Mater Ivano Dionigi e quelli del rappresentante degli studenti Mattia Mazzacurati e del rappresentante del personale tecnico-amministrativo Nadia Paolucci.

fotoracconto

"La cultura come antidoto al terrore" e "la ricerca come antidoto al fanatismo" sono stati alcuni dei punti salienti del discorso pronunciato dal premier in un'Aula Magna gremita. Il Presidente del Consiglio ha poi portato al Rettore Ivano Dionigi il saluto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano "grato di quanto ella e l'università che dirige ha potuto fare per il Paese, il sistema Paese e la qualità dell'educazione". 

 

Il discorso del Rettore ha toccato numerosi punti tra cui i tre concetti chiave del diritto allo studio, del merito e della responsabilità. Di seguito il testo completo del discorso.

 

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Autorità tutte,
Rettori e rappresentanti delle altre Università (guidati dal Presidente della Conferenza dei Rettori Stefano Paleari)
Colleghe e Colleghi docenti e tecnici amministrativi
Studenti
Signore e Signori
benvenuti all’inaugurazione del 927esimo Anno Accademico dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.

Un saluto doveroso e caloroso al neo Presidente della Regione Stefano Bonaccini, e un benvenuto e un grazie particolari a Lei, Signor Presidente del Consiglio, che qui oggi con la sua presenza e la sua prolusione testimonia una attenzione unica non solo per l’Ateneo più antico del mondo occidentale ma – tramite esso – anche per tutta l’Università italiana (una comunità di 1.700.000 studenti, e di 140.000 unità di personale docente e tecnico amministrativo, strutturato e non strutturato); per tutto il mondo della formazione e della ricerca:
- un mondo che, nonostante annose mortificazioni morali ed economiche, sta in piedi e con la testa alta;
- un mondo del quale il Paese non può fare a meno, perché all’incrocio del suo sapere e dei suoi saperi si incontrano, si riconoscono e si avvicendano le generazioni dei maestri e degli allievi;
- un mondo che ancor prima di chiedere sente la responsabilità di dare, consapevole di godere del grande privilegio di coniugare professione e passione.

So che tanti si attendono quest’oggi un bilancio di mandato: non sarà così, sia perché il bilancio provvisorio lo faremo al 31 ottobre e quello definitivo avrete modo di farlo nei prossimi anni, sia soprattutto perché un discorso domestico sarebbe del tutto inadeguato all’eccezionalità dell’ospite.

E allora alla nostra attenzione tre temi su tutti:
1. il diritto allo studio;
2. il merito;
3. la responsabilità.

1. IL DIRITTO ALLO STUDIO
L’articolo 34 della Costituzione, per il quale “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, è un articolo ancora orfano.

Bene quest’anno il maggior contributo del Governo per le borse di studio, per cui la nostra Regione – anche grazie al cofinanziamento dell’anno scorso da parte delle quattro Università dell’Emilia-Romagna – coprirà il 100% degli aventi diritto, sempre più numerosi (quest’anno 12.177 quelli della nostra Alma Mater);
benvenuta la riproposizione della legge 338 per l’edilizia studentesca universitaria;
meritorie e ammirevoli, perché pressoché miracolose, le iniziative di quelle Università che provvedono a premiare i migliori con borse e assegni; a creare nuove residenze, in autonomia o in partnerariato col pubblico o col privato; a esonerare dalle tasse i bravi e bisognosi.

Noi stessi in questi cinque anni non abbiamo aumentato di un solo euro le contribuzioni studentesche, ed ora siamo proiettati nell’ambizioso progetto Staveco (“Campus 1088”): una imponente ex area militare di 95.000 mq (di cui 42.500 edificabili e il resto a verde), la più bella e la più appetita della città, cerniera tra collina e centro; un progetto reso possibile grazie all’intesa già protocollata con l’Agenzia del Demanio e col Comune che con grande generosità e lungimiranza ha pensato all’Università: grazie ancora a Lei, Signor Sindaco. Di quei 42.500 mq ben 27.000 saranno destinati a didattica, residenze e servizi per gli studenti.

Ma - io credo - sia l’analisi dell’andamento demo-geografico studentesco, sia il confronto, troppo a lungo differito, con gli altri Paesi, ci impongono una riflessione più strutturale.

Da un lato i numeri ci dicono che il nostro Paese conta meno immatricolati, meno iscritti, meno studenti in corso, meno laureati: tanti segni meno!

Dall’altro, volgendo lo sguardo all’Europa e al mondo, si deve constatare che in altri Paesi - dalle Università dell’Arabia Saudita a quelle brasiliane, da quelle del Nord Europa a quelle ora di tutti i Laender della Germania - non è prevista la tassazione universitaria: diritto allo studio universitario pienamente garantito!

Allora, perché anche da noi non prevedere nelle lauree di primo livello - e a precise condizioni, prima su tutte la correlazione con i risultati degli studi - questa innovazione radicale? Certo costosa per il bilancio dello Stato; ma molto probabilmente invertiremmo tutti quei segni meno, e arresteremmo l’impoverimento anagrafico, culturale e professionale del Paese. Infatti bisognerà pur non sottacere l’ingravescente fenomeno migratorio che – squilibrando ancor più geopoliticamente il Paese – vede i giovanissimi del Sud iscriversi alle Università del Centro e del Nord, e quelli del Centro e del Nord iscriversi all’estero: per cui, in verità, la fuga dei cervelli avviene già a diciotto/diciannove anni; quella dei trentenni laureati o addottorati è, in verità, la fuga dei fratelli maggiori.

Riforma certo onerosa. Ma allora perché non destinare i mancati scatti stipendiali dei Professori (bloccati da oltre un triennio) a questa causa? I professori che creano il diritto allo studio! Una bella notizia; una bella rivoluzione generazionale!

2. IL MERITO
Anche qui salutari le iniziative delle singole Università, quali l’esonero per i 100 e lode alla maturità, i Collegi di eccellenza, il premio ai migliori studenti e laureati.

Il Governo a questo proposito ha operato due scelte strutturali significative: l’innalzamento, nel Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), della quota premiale dal 13,5% al 18%; e il finanziamento, nella legge di stabilità, di 150 milioni, a partire dal 2015, integralmente caricati sul premio al merito. Né si può ignorare il recentissimo dispositivo di legge che consente il reintegro al 100% del turn-over dei Ricercatori a tempo determinato.

Come a dire che il merito comincia a farsi strada: il merito, ovvero quella che dovrebbe essere la stella polare di un Paese moderno, civile, giusto, il suo cemento morale, sociale e istituzionale. Amo ripetere che se tutti i settori dello Stato seguissero questa ratio, adottata nelle Università e per le Università, il Paese vedrebbe un film diverso.

La mortificazione del merito, delle persone che valgono ha ricadute rovinose perché rompe il rapporto cittadino/Stato e – come ha severamente documentato il rapporto OCSE – fa regredire un Paese alla sua condizione feudale; per cui la corruzione è la conseguenza più vistosa e non la causa di questa rottura del rapporto cittadino/Stato.

Continuo a dire: è uno scandalo che in un Paese moderno, civile, giusto un calciatore o un allenatore guadagnino cento, mille, centomila volte più di un Ricercatore.

Da anni si discute, timidamente e sottotraccia, l’ipotesi di individuare, all’interno delle ottanta Università italiane, quelle 10/15 che facciano da pilota, da motrice, da concorrenti internazionali.

Un’ipotesi da approfondire e verificare: con la duplice consapevolezza che non tutte le Università sono uguali (per identità, finalità, rango) e che, all’interno di questa eterogeneità, alcune fanno più fatica di altre perché operano in contesti economici e sociali difficilissimi: perché, oltre a garantire didattica, ricerca e trasferimento tecnologico, queste Università, in talune zone del Paese, sono in prima linea come unico antidoto a fenomeni sociali e culturali degenerativi.

Allora perché non pensare – in parallelo al fondo per il merito – a un fondo di solidarietà per chi ha da affrontare problemi specifici supplementari? Una soluzione forse più efficace, e direi più equa, rispetto alle alchimie del problematico costo-standard.

3. LA RESPONSABILITA’
Presidente, ciò che maggiormente duole non è il taglio tremontiano subìto per cinque esercizi finanziari consecutivi (quest’anno per la prima volta c’è stata la benedetta inversione col segno più dell’FFO: più 71 milioni); non è neppure l’annoso blocco stipendiale (sopportabile per i docenti più anziani, poco sopportabile per i docenti più giovani, non-sopportabile per i tecnici amministrativi); e non è neppure l’inadeguato riconoscimento del merito (vale a dire risorse proporzionate alla virtuosità).

Ciò che più duole - perché ci limita, ci danneggia e anche ci umilia – sono:
- l’inabissamento del turn over (20% di sistema reiterato per anni; ora portato al 50% ) che di fatto riduce l’ingresso dei giovani e compromette didattica e ricerca;
- la solitudine istituzionale, sperimentata nelle missioni all’estero e negli accordi internazionali, dove ci muoviamo come singole Università senza rappresentanza e conforto governativo, a fronte delle Università degli altri Paesi che si muovono come falangi, perché compatte e appoggiate dai rispettivi Governi;
- l’impossibilità di esercitare a pieno titolo la nostra responsabilità. La cronica incertezza nell’assegnazione delle risorse, da un lato, e il coacervo normativo dall’altro, ci tengono in uno stato di minorità permanente; sì, una selva di norme, controlli, e un progressivo ritorno al centralismo che deresponsabilizza e paralizza la dirigenza, e riduce e mortifica la docenza.

Una taglia uguale per tutti gli Atenei: piccoli e grandi, antichi e recenti, efficienti e neghittosi; e una uniformità tarata non sulla virtù ma sul vizio, non sul migliore ma sul peggiore. Perché alla base – diciamolo – sta la reciproca sfiducia: dello Stato verso il cittadino, del cittadino verso lo Stato.

Paese davvero sconfortante, che da diversi anni ha deciso di creare la virtù per decreto e di affidarsi in tutto e per tutto a leggi e circolari, vincoli e burocrazia. C’è un livello centralistico soffocante: rigidità di spesa nell’FFO, bilancio unico, contabilità economico patrimoniale, tutela generalizzata del MEF su ogni scelta finanziaria, Revisori occhiuti che non danno tregua dall’alfa all’omega, norme sulla cosiddetta “trasparenza” che dissuadono ogni persona responsabile dal dare una mano all’Università, requisiti Anvur tanto draconiani quanto astratti per l’accreditamento dei Corsi di ogni ordine e grado; senza dire della quotidiana e scoraggiante resa di fronte ai Tar (penso solamente alle migliaia di ricorrenti riammessi a Medicina). A proposito dell’accesso a Medicina, credo che sarà bene tener fede ai test, male minore e necessario.

Sì: siamo di fronte a una nefasta ipertrofia dei mezzi che ingenera una atrofia dei fini.

La reductio indiscriminata a Pubblica Amministrazione contraddice e snatura genesi, storia e vocazione dell’Università: ovviamente questa diversità non si dà né per eredità né per grazia, ma va meritata e guadagnata sul campo: ma su questo siamo disposti a sottoporci a tutte le valutazioni, a tutti gli esami di laboratorio.

C’è in questo Paese, benedettamente ricco di talenti e maledettamente incapace di rendersene conto, un capitale umano (sì di capita, di teste) formato soprattutto da giovani straordinari: un capitale, per il quale si è speso ripetutamente con generosità e determinazione il nostro Presidente Giorgio Napolitano, che proprio due anni fa inaugurava qui il nostro Anno Accademico. E bene fa lei, Signor Presidente del Consiglio, a ri-partire dalla Scuola e dalla formazione: perché la crisi prima che economica è politica, e prima che politica è culturale.

Penso per un momento, per rimanere in casa mia, alle nuove 23.000 matricole (+4,8%), ai 500 dottori di Ricerca che ogni anno proclamiamo in tocco e toga, ai 15.000 laureati annuali; penso a tutta questa nostra numerosa, rumorosa e onerosa comunità di 85.000 studenti e di quasi 3.000 docenti e altrettanti tecnici amministrativi. A proposito dell’assenteismo dei tecnici amministrativi, l’Alma Mater vanta questi dati: al netto delle ferie, le assenze per malattia sono del 6,97%. Evidentemente siamo di sana e robusta costituzione!

Non finiremo mai di riflettere sul ruolo, sul vantaggio, sul privilegio che ha il Professore universitario: ruolo, vantaggio, privilegio da mettere doverosamente a disposizione della crescita personale degli studenti e collettiva della società. Il professore universitario può essere – se lo vuole e se ne ha il coraggio – più libero dei leader politici, condizionati dal consenso; e dei leader dell’industria, vincolati dai bilanci.

Lo vorrei dire con le parole del nostro grande Umberto Eco, pronunciate proprio da questo podio nel settembre del 2013 in occasione del XXVesimo anniversario della Magna Charta Universitatum:

“La presenza delle Università può costituire una garanzia per i tanti giovani (e meno giovani) che sono alla ricerca di un’enciclopedia affidabile. Creare un’Enciclopedia Comune non equivale a imporre un pensiero unico. E’ un terreno condiviso su cui verificare e comparare ogni differenza portatrice di ricchezza. L’Università è l’unico luogo in cui si può applicare correttamente un approccio unificato alla diversità”;
e concludeva:

“le Università sono fra i pochi luoghi in cui le persone si incontrano ancora faccia a faccia, in cui giovani e studiosi possono capire quanto il progresso del sapere abbia bisogno di identità umane e reali, e non virtuali […] in un mondo che diventa sempre più virtuale”.
Sì: nessun e-learning, nessuno schermo scintillante, nessuna moda pedagogica potrà sostituire questo rapporto frontale e personale, e questa lampadoforìa, questa trasmissione della fiaccola di generazione in generazione.

Caro Presidente, siamo qui per dare, vale a dire per esercitare sino in fondo la nostra responsabilità; per restituire alla comunità e al Paese quanto abbiamo avuto in dote e in sorte.

Per contribuire a lanciare il messaggio che dopo trent’anni in cui abbiamo declinato solo la parola diritti è urgente riprendere in mano la tavola dei doveri.

Questa Alma Mater, che ha il privilegio di dare del tu alla storia, guarda al futuro con lo sguardo e con la mente non del risparmiatore né del giocatore, bensì dell’investitore.

Quel futuro che appartiene:
- a chi – da autentico e sempre più necessario “uomo rinascimentale” – saprà “connettere i punti” tra passato e presente (Steve Jobs);
- a chi anteporrà “il miracolo delle cose positive e ordinate” alla “banalità del negativo e del caos” (Schoenberg);
- a chi non mancherà di ricordare a sé e soprattutto ai più giovani che “ogni mattina che si leva il sole inizia un giorno che non ha mai vissuto nessuno” (David Maria Turoldo).

Quel futuro che sarà tanto più prossimo e familiare quanto più e quanto prima capiremo – se non per convinzione almeno per necessità – che il pronome obbligato del terzo millennio non è io, bensì noi: perché il destino individuale è iscritto in quello collettivo e perché nessuno ha diritto a essere felice da solo.

E’ con questo sentire, con questa partecipazione anche emotiva che rivolgo un grazie grande a quanti in questi cinque anni in vario modo hanno seguito e aiutato l’Alma Mater e a quanti – voglio aggiungere – hanno confortato la mia persona con la loro fiducia, stima e affetto: mentre mi accingo a proclamare aperto il 927esimo Anno Accademico dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.