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Il Large Hadron Collider fa rinascere le particelle "strane" del Big Bang

Per la prima volta, nelle collisioni tra protoni si è registrato un aumento di produzione di particelle contenenti quark di tipo s: uno dei fenomeni distintivi del plasma di quark e gluoni, uno stato della materia molto caldo e denso esistito appena pochi milionesimi di vita dell'Universo

Lo scorso 24 aprile, dal Large Hadron Collider, l'acceleratore di particelle del CERN che ha sede a Ginevra, è arrivato un nuovo, inatteso, risultato: per la prima volta, nelle collisioni tra protoni si è registrato un aumento di produzione di particelle cosiddette "strane" (contenenti cioè uno o più quark di tipo s, invece che di tipo u e d). Questo aumento è uno dei fenomeni distintivi del plasma di quark e gluoni, uno stato della materia molto caldo e denso esistito appena pochi milionesimi di secondo dopo il Big Bang.

Finora questa caratteristica dello stato della materia primordiale - l'aumento di particelle strane - era stata osservata solamente nelle collisioni tra nuclei pesanti, e non si pensava potesse essere ritrovata anche nelle collisioni tra protoni. Questa inaspettata osservazione rappresenta una sfida ai modelli teorici esistenti, che non prevedono l’aumento di particelle strane in questi eventi.

Il risultato è arrivato da ALICE, uno degli esperimenti attivi presso il Large Hadron Collider, ed è stato pubblicato sulla rivista Nature Physics. La sezione INFN di Bologna, in collaborazione con il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Bologna, ha gruppi impegnati in tutti e quattro gli esperimenti di LHC - ATLAS, CMS, LHCb e appunto ALICE - e ha dato un importante contributo a questa ricerca. Uno dei rivelatori di ALICE utilizzati per la scoperta - il rivelatore di tempo di volo TOF - è infatti stato sviluppato, costruito e mantenuto in presa dati sotto la guida di Antonino Zichichi, professore emerito dell'Alma Mater.

Lo studio è stato coordinato da Roberto Preghenella, dottore di ricerca Unibo e ricercatore INFN della sezione di Bologna, il quale ha anche presieduto il comitato ristretto, formato da ricercatori italiani e brasiliani, che ha materialmente preparato l’articolo pubblicato su Nature Physics. Al Gruppo ALICE di Bologna, composto attualmente da 18 persone, collaborano attualmente personale della Sezione INFN di Bologna e dell'Università di Bologna, tra cui, oltre a professori e ricercatori del Dipartimento di Fisica e Astronomia, ci sono anche due dottorandi e un assegnista di ricerca.

"Questa scoperta permette di fare un grosso passo avanti nella comprensione delle interazioni forti, una delle quattro forze fondamentali, che lega quark e gluoni all’interno di protoni e neutroni e questi ultimi all'interno del nucleo atomico", commenta Roberto Preghenella. "Il risultato è sorprendente ed è frutto della collaborazione di molte persone. Ringrazio tutti i componenti del team per l’eccezionale dedizione che ha permesso di ottenere un prodotto scientifico significativo e di elevata qualità". Pietro Antonioli, responsabile locale INFN per l'esperimento ALICE aggiunge: "È un risultato scientifico di grande rilevanza e siamo molto contenti di avervi contribuito come sezione di Bologna, sia con un rivelatore chiave nella raccolta dei dati, che attraverso un ruolo guida di uno dei nostri ricercatori nell’analisi. È un bell’esempio della generazione di giovani ricercatori italiani cresciuti a LHC in questi anni in un contesto internazionale".