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Una buona memoria? Dipende dalle onde cerebrali

Un gruppo di ricercatori è riuscito a dimostrare – attraverso stimolazioni elettriche applicate al cervello – che la nostra capacità di memorizzare informazioni di uso quotidiano dipende dalla velocità di alcune particolari onde cerebrali, chiamate onde theta


Memorizzare il PIN della carta di credito, ricordarsi l’indirizzo di un locale o un nuovo numero di telefono. Sono solo alcune delle tante occasioni in cui ci capita di fare ricorso alla “memoria di lavoro”: la nostra capacità di codificare, mantenere e manipolare una quantità variabile ma limitata di informazioni per un breve periodo di tempo in un ambiente che cambia. Perché però alcune persone sono più abili di altre nel fissare nella mente le informazioni? Come funzionano i meccanismi nervosi alla base di questa nostra abilità? Ed è possibile manipolare questi meccanismi per aiutare chi è più “smemorato”?

Un gruppo di ricerca internazionale guidato da Vincenzo Romei, docente al Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna, ha trovato la risposta a queste domande: il loro studio, pubblicato su PLOS Biology, ha infatti confermato sul campo la teoria secondo cui la capacità di mantenere in memoria informazioni di uso quotidiano dipenderebbe dalla velocità di alcune particolari onde cerebrali.

LE ONDE THETA
Il nostro sistema nervoso produce ininterrottamente un’attività elettrica ritmica e ripetitiva che può essere visualizzata e registrata: questi impulsi sincronizzati, generati dal lavoro dei neuroni, si muovono con un moto oscillatorio e per questo sono noti come “onde cerebrali”. Gli studiosi hanno individuato diversi tipi di onde cerebrali, ognuno caratterizzato da una differente frequenza (misurata in hertz), che corrispondono a diverse fasi dell’attività cerebrale: dagli stadi del sonno, a cui corrispondono onde lente (ad esempio le “onde delta”), fino alle tante operazioni che compiamo in stato di veglia, legate a onde più veloci (come le “onde beta”).

Per spiegare i meccanismi nervosi alla base della memoria di lavoro, psicologi e neuroscienziati hanno da tempo suggerito un collegamento con una di queste tipologie di onde cerebrali. L’attività ritmica dei neuroni che codificano le informazioni da memorizzare genera infatti onde che oscillano ad una frequenza tra 4 e 7 hertz, corrispondente a quella tipica delle “onde theta”. Secondo questa influente teoria, più le onde theta sono lente, maggiore è il numero di informazioni che possono essere immagazzinate e mantenute nella memoria di lavoro. Un’ipotesi, questa, supportata fino ad oggi solo da osservazioni indirette.

STIMOLARE LA MEMORIA
Per testare in modo più diretto questa teoria, i ricercatori hanno deciso di mimare, attraverso una serie di stimolazioni elettriche, l’attività ritmica dei neuroni che si genera quando cerchiamo di memorizzare un’informazione. “Lo scopo di questo approccio di stimolazione – spiega Vincenzo Romei – è modellare l’attività oscillatoria di quelle parti del cervello attive durante la memorizzazione di informazioni, rendendole più lente o più veloci. In questo modo possiamo testare direttamente la relazione causale tra la velocità di queste onde e la capacità di memorizzare informazioni in modo efficace”.

Lo studio è stato realizzato utilizzando una tecnica chiamata “transcranial Alternating Current Stimulation” (tACS), che consiste nella somministrazione di deboli correnti elettriche di polarità alternata. Attraversando lo scalpo, queste correnti influenzano l’attività elettrica cerebrale del partecipante: un tipo di stimolazione che si basa sul “principio di entrainment”, secondo cui una forza ritmica esterna è in grado di allineare sulla stessa frequenza i neuroni stimolati.

RICORDI POTENZIATI
Lo studio ha coinvolto 32 persone, tutte sottoposte alla tecnica tACS, con una stimolazione concentrata in particolare sull’area parietale destra del cervello. Ai partecipanti è stato chiesto di svolgere un compito di memoria di tipo visuo-spaziale che consisteva nel riferire se una particolare configurazione di quadratini colorati (in numero variabile tra 4 e 6) corrispondesse o meno alla stessa configurazione velocemente presentata in precedenza a destra o a sinistra dello schermo. Lo stesso esercizio è stato ripetuto tre volte, ma ogni volta i partecipanti sono stati sottoposti ad una tipologia di stimolazione diversa: con onde theta lente, con onde theta veloci o con una stimolazione solo simulata.

Il risultato? “Comparando la capacità della memoria di lavoro durante la stimolazione simulata con quella reale – racconta il prof. Romei –, la stimolazione con theta lento ha migliorato la capacità di memorizzazione, mentre la stimolazione con theta veloce l’ha peggiorata. È come se avessimo modificato le dimensioni del foglio su cui normalmente annotiamo la nostra lista della spesa, aumentando o riducendo il numero massimo di prodotti che possiamo elencare”.

CAPIRE LA MEMORIA
Questa modifica delle capacità di memorizzazione è ovviamente solo temporanea, ma i risultati che emergono dallo studio possono essere di grande aiuto sia per approfondire il funzionamento della memoria di lavoro, e più in generale delle funzioni cerebrali, che per migliorare il trattamento dei problemi di memoria tipici dell’età avanzata.

Lo studio, pubblicato su PLOS Biology, è stato realizzato da un il team di ricercatori italiani, inglesi e tedeschi guidato da Vincenzo Romei, neuroscienziato che dopo un’esperienza di 15 anni tra Stati Uniti, Svizzera e Inghilterra è da poco rientrato in Italia per operare presso il Centro studi e Ricerche in Neuroscienze Cognitive dell’Università di Bologna (Campus di Cesena).