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Le proteste “esclusive” e i pericoli per le democrazie

I movimenti di protesta che puntano a favorire gli interessi di un gruppo sociale rispetto ad altri crescono in tempi di crisi e possono favorire svolte autoritarie. Lo rivela una ricerca che ha analizzato valori e comportamenti di 52.000 persone distribuite in 28 paesi europei


I tempi di crisi sono (anche) tempi di proteste, spesso animate dalla perdita di fiducia nelle istituzioni e nella politica tradizionale. Non tutte le proteste però sono uguali: da un lato ci sono quelle “inclusive”, legate a istanze e diritti che riguardano tutti, e dall’altro nascono quelle “esclusive”, che puntano a favorire gli interessi di un gruppo sociale rispetto ad altri. Ma in che modo il sistema di valori e le condizioni di vita dei singoli influiscono sull’adesione ad un tipo di protesta rispetto ad un altro?

Il tema è analizzato in una ricerca da poco pubblicata sul Journal of Community & Applied Social Psychology che vede come autori Davide Morselli dell’Università di Losanna e Stefano Passini, docente al Dipartimento di Scienze dell'Educazione "Giovanni Maria Bertin" dell’Università di Bologna. “Entrambi i tipi di protesta favoriscono il cambiamento sociale – spiega Passini – e sono collegati a bassi livelli di fiducia nelle istituzioni e nella politica tradizionale. Le proteste esclusive, però, tendono in genere ad attribuire un’importanza minore a temi come la garanzia del pluralismo di opinione o la salvaguardia dei diritti comuni”.

Lo studio ha analizzato i comportamenti di protesta da un punto di vista psico-sociale, intrecciando i profili di 52.000 persone distribuite in 28 paesi europei. Un’analisi che ha restituito l’immagine di un continente in cui disuguaglianza e povertà hanno alimentato i venti di protesta. “La reazione dei cittadini – conferma il professor Passini – si è indirizzata verso proteste esclusive, legate cioè alla protezione di gruppi specifici, piuttosto che inclusive, aperte alla difesa dei diritti di tutti”.

Andando a vedere il quadro dei valori più sentiti dai cittadini europei, quelli del conservatorismo risultano insomma predominanti rispetto all’universalismo e alle spinte verso il cambiamento. “Inclinazioni che vengono rispecchiate nella crescita degli estremismi e dei populismi a cui stiamo assistendo in questi anni”, nota Passini.

Dai dati emerge infatti che un ruolo non secondario nell’influenzare questo sentimento diffuso è giocato dalle condizioni economiche dei diversi paesi: in quelli che attraversano momenti di difficoltà i cittadini tendono a concentrarsi sui temi che li riguardano in prima persona, tralasciando la difesa di aspetti universali come ad esempio la libertà di parola o altri diritti comuni. Questo spiegherebbe perché le tendenze autoritarie e anti democratiche si registrano più spesso in paesi e regioni nelle quali le condizioni di vita sono più difficili. Un tratto che la crisi economica degli ultimi dieci anni ha reso ancora più marcato.

“Le democrazie contemporanee – commenta in conclusione Stefano Passini – contengono al loro interno tendenze che possono portare a trasformazioni in senso autoritario. Soprattutto quando emergono leader forti sulla spinta di sentimenti repressivi, animati da posizioni di intolleranza verso altri gruppi sociali. In questo senso, i movimenti di protesta esclusivi possono condurre più facilmente a svolte autoritarie piuttosto che accelerare o favorire il cambiamento sociale”.