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Un nuovo gene collegato al tumore della tiroide è stato identificato da un gruppo di ricerca Unibo

Utilizzando tecniche di next-generation sequencing, i ricercatori hanno individuato una mutazione nel gene MYO1F, che codifica per una proteina del citoscheletro


Un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell’Alma Mater ha identificato per la prima volta un particolare gene, chiamato MYO1F, come possibile attore nella predisposizione ai tumori della tiroide.

Partendo da precedenti analisi genetiche che indicavano la presenza di un gene di predisposizione della malattia sul cromosoma 19, i ricercatori hanno identificato la mutazione presente negli individui affetti da neoplasie tiroidee, caratterizzate da iperplasia dei mitocondri.

Utilizzando tecniche di sequenziamento di nuova generazione – note come next-generation sequencing –, sono poi riusciti ad analizzare l’intero esoma, cioè la parte del nostro genoma che codifica per le proteine. In questo modo, il gruppo di ricerca è stato in grado di identificare la mutazione nel gene MYO1F, che codifica per una proteina del citoscheletro.

Attraverso una serie di studi funzionali in modelli cellulari in vitro e modelli animali in vivo (pesce-zebra), i ricercatori hanno potuto evidenziare come la proteina mutata determini un aumento nella proliferazione cellulare, stimoli la produzione di radicali liberi e sia responsabile di un’alterazione della funzionalità mitocondriale: tutti effetti che possono contribuire allo sviluppo tumorale.

Per lo sviluppo dei tumori della tiroide di origine follicolare la familiarità è un fattore di rischio. I geni coinvolti però sono ancora largamente da identificare ed esiste una elevata eterogeneità genetica, ossia molti geni che, se mutati, possono indurre questo tumore. Questo risultato è un passo avanti per arrivare ad una comprensione più efficace del meccanismo che attiva la malattia.

Lo studio è stato possibile grazie al lavoro di Elena Bonora e Chiara Diquigiovanni, ricercatrici del gruppo di ricerca coordinato dal professor Marco Seri presso il Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell’Università di Bologna. La ricerca è stata realizzata con il supporto dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e in collaborazione con altri gruppi dell’Alma Mater, con l’Università di Padova e con l’Imperial College di Londra.